Fateci caso: quante volte perdoniamo qualcuno anche quando riteniamo di aver ricevuto dei torti enormi. Processiamo la cosa, sbolliamo la rabbia e poi capiamo le loro intenzioni, i motivi per cui si sono comportati male e così decidiamo di perdonarli.
Succede che raggiunto il nostro stato di calma analizziamo la situazione, valutiamo quanto vogliamo bene alla persona che ci ha fatto il torto e dopo aver sentito emotivamente qual è la cosa giusta da fare decidiamo di mettere da parte l’orgoglio, perché la priorità è mantenere il legame o un buon rapporto in generale.
Altre volte aspettiamo che sia l’altro a far la prima mossa, vogliamo che si renda conto di come si è comportato con noi, perché non si ripeta una seconda volta, cerchiamo di fargli capire i motivi per cui è successo lo screzio ma in realtà dentro di noi sappiamo che lo perdoneremo.
Quando dobbiamo o vogliamo perdonare qualcuno, visioniamo la situazione nell’insieme, ci mettiamo nei panni degli altri e capiamo che probabilmente non c’era malafede nel gesto che l’altra persona ha commesso e quindi – non per una mera questione religiosa – sentiamo il desiderio di perdonare per ritrovare, egoisticamente, al più presto la nostra serenità.
Voglio adesso farvi portare l’attenzione su quanta poca tolleranza abbiamo invece con noi stessi: pensate a quando fate qualcosa di “sbagliato”, qualcosa di cui a posteriori non andate fieri e su cui non si può tornare indietro… credo sia capitato a tutti vero?
Abbiamo aspetti caratteriali diversi, non siamo tutti uguali, ma tendenzialmente lo schema funziona così: mi rendo conto dell’errore che ho commesso, di un buon proposito che non ho mantenuto o di un comportamento o atteggiamento che ho avuto con una persona a cui tengo… ebbene la severità con me stesso diventa estrema, la mia vocina mi dice che io non posso sbagliare: la mia autocritica è senza grigi, o tutto bianco o tutto nero e non ho la ben che minima intenzione di farmela passare liscia.
Provate a pensare quante volte vi è capitato che un amico vi chieda un consiglio su una questione personale: riguardo un litigio che ha avuto con un collega di lavoro, con la moglie o il marito e noi da fuori con molta leggerezza tendiamo naturalmente a consigliargli di perdonare… in fin dei conti che sarà mai…, non è poi così grave… in questo caso il nostro grado di severità è molto più morbido e compassionevole, non trovate?
Una cosa in cui credo ciecamente è che il miglior amico di me stesso sono IO, quindi come siamo saggi e misericordiosi a consigliare ai nostri amici di perdonare gli altri e soprattutto di perdonare sé stessi, credo che imparare a PERDONARSI sia una forma di maturità e di saggezza davvero necessaria per esser centrati e lucidi con noi stessi e con gli altri.
È semplice perdonarsi?
No, non lo è affatto, come in tutte le cose è una questione di metodo e di allenamento e di una accurata percezione del nostro stato comportamentale.
Un esercizio difficile e contro intuitivo ma molto utile per esercitare questa competenza è quella di prendere il nostro problema – dal quale non sappiamo se perdonarci – far finta che sia il nostro miglior amico ad avere questa difficoltà (quindi ora non è più nostra) e proviamo a sforzarci a pensare cosa gli diremmo, in che modo dovrebbe leggere questa situazione e come lo convinceremmo che dovrebbe perdonarsi.
Come avrete già intuito, una volta trovata la strada giusta e indicata al mio caro amico, ovviamente quella è la stessa strada che dovrò riprendere per arrivare a quello stato di leggerezza che si raggiunge nel momento in cui ci autorizziamo a perdonarci.